Il mio Giardino di Powder

«Il caso ha voluto che io abbia preso in mano la struttura dove da piccolo trascorrevo le settimane della colonia estiva parrocchiale». Dicendo questa cosa Marco Vittori ci fa arrestare la forchetta a metà strada tra piatto e bocca. Siamo con lui al tavolone del Rifugio Fauniera, davanti a noi ci sono degli gnocchi filanti e fumanti, e un calice di Nebbiolo d’Alba d’obbligo. Poi il profumo del Castelmagno è più forte della sorpresa (siamo comunque gente dura e rotta ad ogni agguato) e assaporiamo questa gran prelibatezza della Valle Grana, rimasta in sospeso a mezz’aria. Azzardiamo a rispondere che forse proprio un caso non è, non del tutto quantomeno, di solito non lo è mai per quasi tutti gli accadimenti della vita. Marco conviene che sì, forse è così: «negli anni novanta ero quassù a sbucciarmi le ginocchia con i compagnucci e nel 2019 ci sono tornato per ridare vita al Rifugio, chiuso da un decennio, che metteva tristezza quando ci si passava davanti e solo nella memoria potevo ripescare le sensazioni dei bei vecchi tempi passati».

 

Ma ora tutto è tirato a lucido; vetrate luminose, arredamenti in legno chiaro stile scandinavo, compresa la sauna a forma di botte in mezzo al prato, proprio qui davanti. Letti comodi e fotovoltaico, tinozza di acqua tiepida vista fondovalle, tutti i piatti della tradizione cuneese con materia prima local, per primo il Castelmagno DOP, ça va sans dire, fornito dal marghè che ha la malga giusto qui sotto. 

Il caffè ce lo prendiamo fuori, per poter alzare gli occhi ad un cielo nerissimo punteggiato di bianco, azzurro e giallo, uno dei più bui d’Europa, che nelle mezze stagioni diventa meta di astrofili che trascorrono la notte sull’erbetta fresca fuori dal Fauniera. Noi non abbiamo il telescopio ma chiediamo di provare la StarBOX, una scatolona di legno a due posti, col tetto spiovente totalmente apribile, dove si può dormire o restare svegli incantati dalla Via Lattea. Noi siamo saliti poco prima di Natale, pellando direttamente da dove si lascia l’auto. Volevamo conoscere questo lettore della nostra rivista, che ha voluto diventare lo Skialper Point più in alto di tutti, a 2.305 metri slm, come recita l’insegna in legno. Chi passa di qui ora può tornare a casa con il nostro magazine, o con uno dei nostri libri sulla montagna, nello zaino. In estate sono cento metri dal parcheggio, in inverno la strada che porta al Colle Fauniera chiude dopo il paese di Castelmagno e per il Fauniera sono 550 metri di dislivello, su tre dita di neve ormai battute e consolidate dai numerosi passaggi di Marco, che sale spesso per i dovuti controlli e ora è qui per i preparativi delle feste: tradizionale apertura dalla vigilia di Natale fino alla Befana. Stasera, poco prima del tramonto, grazie alla brezza che tutto spazza, puntando gli occhi a sud-est si distinguevano cittadine della piana cuneese, paesini della Langa e un orizzonte che arriva fin sopra Genova. 

Più oltre, ci figuriamo quella distesa di acqua salata che si può solo intuire. Grappino in mano, silenzio totale, quell’idea ci porta a parlare di come si è modificata la percezione del tempo libero. Decenni fa c’era il dualismo “mare o montagna”, vacanzieri con il portapacchi colmo che chiudevano casa per tre settimane. Oggi sono tante le variabili che decidono le fortune o meno di chi lavora sulle Alpi, e del futuro delle valli. Marco ha fatto la sua scelta ma non disdegna “l’altro mondo”, anzi, allo scioglimento se ne andrà in Puglia per un lungo bikepacking, da buon ciclista che vorrebbe essere più allenato, ma crede nell’importanza di far entrare la montagna nelle vene degli umani già dai primi anni di vita: «Il campeggio che teniamo a giugno, per i bambini delle elementari, serve a non interrompere il filo conduttore della colonia di una volta: un bambino deve scoprire presto queste rocce e questi pascoli, non meno del mare. Oggi tocca a mia figlia Matilde, due anni, scoprire e far riscoprire a me tutto questo, quando mi incanto ammirato dal suo stupore davanti a un fiore, un insetto o ad una mucca».

Ci racconta che qua la notte è un brulicare di vita animale e l’ululato dei lupi aggiunge emozioni alle emozioni, anche se in alta stagione un rifugista lavora dalle 16 alle 20 ore al giorno, e i selvatici diventano quasi dei colleghi, frenetici come lui anche col buio per procacciarsi di che vivere. In estate la cucina non chiude praticamente mai, per far contenta ogni tipo di utenza, ognuno coi propri orari: dai neofiti ai runner cittadini col cronometro che gira sempre, alle famiglie di fondovalle, e poi canadesi, giapponesi, neozelandesi e, manco a dirlo, decine di ciclisti, che da quel dì del 1999 in cui Marco Pantani qui fece l’impresa, sono ormai parte del paesaggio del Colle Fauniera. In inverno altra storia: tranquillità e profondi silenzi, si apre per le festività natalizie e pasquali, oppure nei weekend se si prenota in comitiva, radunando almeno dieci amici. Negli ultimi anni Marco ha notato al proposito una bella novità al femminile, ovvero che sono cresciuti i gruppi di amiche che prenotano per la classica una notte-due giorni, tra ciaspole, brindisi e sauna finlandese, che è attiva anche in inverno.

Anche sul lato scialpinismo ha notato trasformazioni: «Sono diminuiti quelli come ero io, chiamiamoli “stile post Mezzalama” e sono cresciuti due gruppi. Da un lato i superleggeri, che io soprannomino “i figli di Kilian” e dall’altro i freerider coi 4 ganci, senza altra ambizione che tirare le curve più fighe possibili, in totale rilassatezza. Fino ad oggi questa valle non è stata presa d’assalto dagli skialper perché è più forte l’attrazione delle valli adiacenti, ma ci sono due “parchi giochi” di mia vecchia conoscenza che non hanno nulla da invidiare: il primo, il mio giardino di powder, è questo che vedete davanti, tra quattro punte dai nomi che sembrano usciti dalle fiabe che leggo a mia figlia: Punta Parvo, Rocca Parvo, Parvetto e Parvulot. Metto le pelli qui sull’uscio, poi scelgo a occhio, si parla di due-trecento metri circa di dsl, le ripeto due o tre volte. Tutte esposte a nord, si viene giù in ambiente canadese, ululando come i lupacchiotti che la notte girano qui intorno. Sembrano messe lì apposta per la toccata e fuga, infatti quando in settimana salgo con un amico a spalare la neve dal fotovoltaico, ce le facciamo regolarmente. L’altro parco giochi parte dal Colle Fauniera, a 180 metri di dsl dal Rifugio. Da lì ci sono le nord delle vette della Val Maira, cioè Cima Tempesta, La Meja, Sibolet, sempre polverose. Per chi vuole salirle nei feriali, quando siamo chiusi, qui a cento metri c’è il bivacco sempre aperto». 

Gli chiediamo quale sia il momento giusto ma tanto sappiamo già la risposta. «Si sa – continua Marco – con il famigerato Climate change le vecchie tempistiche sono saltate, siamo noi a dover fare anche uno switch mentale però, perché l’abitudine resta un po’ quella di pensare che in pieno inverno si scia e basta, mentre ci sono giornate in dicembre in cui qui si sta in T-shirt e si potrebbe fare un giro su una delle mie e-bike a disposizione. E mentre ai primi tiepidi lo skialper meno invasato inizia a pensare che ormai nei weekend si va a far altro, qui, per esempio, tra marzo e aprile 2024 sono caduti 450 cm di neve e si poteva sciare fino a metà maggio».           Lo guardiamo mentre racconta e non abbiamo dubbi che sia ancora entusiasta di ciò che vede intorno e di ciò che fa, nonostante questa vita da rifugista, rispetto a prima quando faceva il commerciale in pianura, gli abbia mostrato da subito i suoi bravi lati hard. “I miei spazi privati per buona parte dell’anno vengono a mancare ovviamente, e una dormita tutta filata è solo un bel sogno da rimandare alla chiusura stagionale» ci ricorda Marco «ma non tornerei indietro, qui sono ripagato da questo spettacolo quotidiano e da certe serate con persone che condividono con me un certo modus vivendi, magari davanti a una buona bottiglia, in cui domina ancora l’aspetto sociale e non social». Ma ora basta importunare il gestore, tutti a nanna. La mattina ci svegliamo col primo sole che ci stende un tappeto rosa sulla discesa che ci aspetta, e Marco ci saluta dicendo che ci manderà delle foto da Lyngen, Norvegia. Si perché sarà anche piemontese, ma non bugianen, e il Circolo Polare lo aspetta per quattro curve ben tirate ogni primavera. L’ultima sua parola è  un invito a risalire qui l’estate prossima: «In bici però, se ne avrete il coraggio».