La Duerocche Trail da dentro
Cornuda, 25 aprile, ore 7.15. Fa già caldo e i 400 runner della Duerocche Trail, gli ‘eroi’ della 48 chilometri (e 2.300 metri D+), sono in pantaloncini corti e canotta. Di prima mattina. I sorrisi stampati in faccia, nonostante l’ora. C’è chi viene dai comuni vicini e chi arriva da lontano. Chi come me, che per essere allo start, è dovuto arrivare la sera prima. C’è gioia, attesa, tensione, emozione. Per qualcuno è la prima volta mentre per altri è semplicemente un ‘lungo’ in vista di qualcosa di più importante. C’è la voce degli speaker e c’è la musica dei Green Day a darci quella scarica di adrenalina… come se già non ce ne fosse abbastanza. C’è elettricità e infine c’è il conto alla rovescia, quello in cui è bello chiudere gli occhi e pensare che, per i prossimi 48K, le gambe non si fermeranno più. Sono qua, ancora una volta, allo start. Sono qua per vivere, oggi come sempre, la grande avventura della corsa. E si parte tutti insieme, sull’asfalto già caldo per poi imboccare, dopo meno di un chilometro, lo sterrato. Verso i colli dolci che fanno da cornice alla Marca Trevigiana. Una gara, la Duerocche, che da 47 edizioni non smette di emozionare e che di anno in anno, grazie alla professionalità degli organizzatori, è diventata un grande classico della corsa veneta. Questa edizione poi è stata da record: 6.480 iscritti che, spalmati sulle diverse distanze, si sono divertiti e, perché no, hanno anche sofferto sui chilometri di strade e sentieri perfettamente in ordine e puliti che contraddistinguono la gara.
Il caldo si fa presto sentire e la fatica si accumula nelle gambe. A stemperare il tutto c’è la gentilezza dei volontari che, dal primo fino all’ultimo ristoro, non fanno che incoraggiarti. Si corre e si socializza, perché per me il trail è anche questo. Conosco Matteo, che di professione fa l’enologo. Lavora col vino, lui. Mica male. Durante una lunga discesa, cercando di riprendere fiato, discutiamo sulla fortuna di fare un lavoro che piace. Perché quando si corre si finisce che non si parli mai di corsa, ma di altro. Per staccare la testa e far passare tempo e chilometri. Sentieri, salite, discese, panorami che si ripetono come in una pellicola che scorre. Si passa dal verde delle colline fino a vigneti, attraversando paesini e borghi incantevoli. E i chilometri passano, veloci, fino al quarantesimo. Sento quasi la voce dello speaker che, al traguardo, batte il cinque ai finisher. Ma poi, vuoi il caldo, vuoi lo scarso allenamento, vuoi che non bisogna mai urlare vittoria fino agli ultimi 100 metri, inizio ad avere qualche problema di stomaco e mi ritrovo a fermarmi più volte lungo il sentiero, col fiato corto e quel senso di fastidio che da giù sale fino alla gola. E proprio mentre mi sfiora l’idea di non potercela fare, dal sentiero dietro di me arriva Matteo, che avevo lasciato ad un ristoro e mai più incrociato fino a questo momento. Sale con passo ancora deciso… Come il mio, fino a un chilometro fa! Mi chiede come sto. Non voglio essere d’impiccio ma un sostegno morale ora come ora è davvero di grandissimo aiuto. Lo esorto ad andare, ma si offre di stare con me fino all’ultimo ristoro, per decidere se terminare la gara o desistere. All’ultimo ristoro, dopo cinque minuti di pausa a suon di acqua e limone, decido di continuare. Con Matteo che mi scorta fino al traguardo. Con pazienza. Correndo quando possibile e camminando a tratti.
«Guarda, c’è il ponte della ferrovia e da quello saranno 400 metri al traguardo. Da là però facciamo la ‘finta’ e corriamo» dice ridendo. E io quasi non ci credo. Gli ultimi 400 metri. Quelli che fanno tornare la forza nelle gambe anche se stai strisciando. Ed è così! Tagliamo il traguardo insieme. Ringrazio lui, per avermi portata fino alla fine, e ringrazio il trail, perché ti aiuta a scoprire che esistono ancora persone così. Intanto all’arrivo la festa è in pieno svolgimento. Sì perché la Duerocche, oltre ad essere una gara, è anche e soprattutto una festa. È forse proprio per questo che Scarpa, da ben sette anni a questa parte, ha deciso di sostenerla. Con una birra in mano si assiste alle premiazioni e si rimane a bocca aperta davanti ai tempi dei fortissimi. Stefano Fantuz e Silvia Rampazzo nella 21 chilometri, Roberto Cassol e Isabella Lucchini nella 48 chilometri. Sulla 21K anche Moreno Pesce, l’atleta amputato che l’ha chiusa con la sua protesi in fibra di carbonio e titanio, dopo quasi sette ore di fatica e sofferenza. Sulle spalle, lungo il rettilineo d’arrivo, aveva la figlia Elisa. A completare il quadro di questa gara anche una 6 e una 12 chilometri non competitive e una 14 km storica da Asolo fino a Cornuda. Bella la gara, il percorso, le persone, belle la festa finale e la gioia di chi lavora un anno perché tutto ciò possa realizzarsi ma, soprattutto, bello essere ancora una volta a ridere davanti a una birra e con la medaglia finisher al collo.
La Duerocche è nata nel 1972 per iniziativa di un gruppo di appassionati. Giunta alla quarantasettesima edizione, è una delle corse più longeve del Triveneto e si svolge sempre nella stessa data: il 25 aprile. Il nome deriva dai luoghi di partenza e di arrivo che caratterizzavano il percorso originario: la Rocca monumentale di Asolo e il Santuario della Madonna della Rocca di Cornuda. Siamo nel cuore della Marca Trevigiana e la Duerocche coniuga al meglio le caratteristiche di un territorio unico: gli splendidi scorci naturali e le tradizioni di una terra che ha scritto pagine importanti della nostra storia. Cinque i percorsi: 6 e 12 chilometri per tutti, 14 chilometri per il Nordic Walking, 21 e 48 chilometri per gli appassionati di trail. Nell’ultimo decennio la Duerocche ha conosciuto una progressiva crescita di presenze, passando dai 1.700 partecipanti del 2006 ai circa 6.000 del 2017. Circa 45.000 gli atleti che hanno preso parte alle gare dal 2006 ad oggi, a testimonianza di un evento ormai imperdibile per moltissimi appassionati provenienti da tutto il Nord Italia, e non solo. Appuntamento al 25 aprile 2019!
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