Sherpa Mountain Shop
Un rifugio in pianura
«Sono entrata per noleggiare un paio di sci e non sono più uscita». Quella di Monica Gora aka sherpina potrebbe essere la storia di molti altri clienti di Sherpa Mountain Shop. Solo che lei non è diventata un'affezionata cliente, ma è entrata direttamente a far parte dello staff del negozio specializzato di Ronco Briantino, ultimo paese della provincia di Monza-Brianza, al confine con il Meratese e la Brianza Lecchese. Dal 2020 lavora qui e, soprattutto, gestisce la pagina Instagram, precipitosamente salita da 900 a oltre 22.000 follower, con reel che hanno totalizzato più di 11 milioni di visualizzazioni. Che poi chiamarlo negozio lo Sherpa è riduttivo. Viene più spontaneo pensarlo come un punto di ritrovo, un rifugio nel cuore della pianura. Ci sono le bandierine tibetane, c'è tanto legno, c'è l'annessa palestra di arrampicata Orizzonte Verticale con banco bar dove scambiare quattro chiacchiere tra amici. Ci sono soprattutto Giovanni Viganò aka Sherpone e Monica.
Quando nel 2001 ha aperto i battenti un negozietto di pochi metri quadrati in un paesino della pianura in pochi avrebbero scommesso che a distanza di quasi 25 anni (la festa per il quarto di secolo è già in programma nel 2026...) quell'insegna sarebbe sopravvissuta. Già all'inizio del secolo Giovanni vendeva scarpe per spedizioni himalayane e materiale di alto livello nel cuore di un'area con la più alta concentrazione di negozi sportivi. Poi nel 2013 la svolta, con il trasloco qualche centinaia di metri più avanti e l'apertura con altri soci dell'asd Orizzonte Verticale e della palestra di arrampicata, attorno alla quale ruotano circa 500 iscritti, compresi un centinaio di bambini. «Lavoravo in una serigrafia e un giorno mi sono detto: perché non lasciare spazio alla mia passione per la montagna?» ricorda Giovanni. Lo Sherpa nasce alpinista e trekker e dal 2013 diventa un riferimento per il climbing, oltre a introdurre lo scialpinismo e il laboratorio per la preparazione degli sci per completare l'offerta. Federica Mingolla, Angelika Rainer, Marta Carminati, Cecilia Bassi, Nicolò Bartoli, Annalisa Fioretti, Denis Urubko, Iris Bielli: giovani talenti dell'arrampicata, autentici mostri dell'alpinismo, in tanti iniziano a ruotare attorno allo Sherpa come ambassador o semplicemente amici. Giovanni organizza serate, incontri, manifestazioni, come la Sgrignettata, che porta ai Piani Resinelli dimostrazioni, escursioni guidate, presentazioni, test materiali. La Grignetta, l'ambiente naturale di Giovanni, dove anche oggi nei giorni di chiusura scappa e dove conosce ogni passaggio delle vie su roccia, sarà teatro pure dell'edizione 2026, quella dei festeggiamenti per i 25 anni di Sherpa Mountain Shop.
Il 2024 è stato un altro anno da segnare nella storia del negozio, con l'ampliamento in quello che era un locale del mobilificio limitrofo, che porta a una novantina i metri quadrati d'esposizione, oltre alla palestra e al laboratorio per la preparazione degli sci. «Se mi guardo indietro, di crisi ne ho viste passare tante» ricorda sorridendo Giovanni. La verità è che lui e Monica sono dei filtri. «In tanti arrivano per il passaparola o tramite i social e ci chiedono consigli, l'altro giorno è entrato un cliente ad affittare una piccozza per fare un canale sulle Orobie, abbiamo cercato di farlo desistere, viste le condizioni; alla fine la piccozza l'ha affittata ma ha deciso di non usarla». Sherpa affitta set da ferrata, piccozze, ramponi e attrezzatura da alpinismo per la stagione con opzione riscatto. «Tutto materiale nuovo» ci tiene a sottolineare Giovanni. Poi c'è l'angolo delle guide alle vie di arrampicata e quello dei libri, con le collane di Mulatero in bella vista. Si possono anche portare le scarpe da trail o da trekking vecchie, purché ancora utilizzabili. Giovanni le raccoglie e le dona alla onlus In Your Shoes, che le spedirà in Kenya o in Nepal. C'è bisogno di una Guida Alpina? Tramite Sherpa ci si può rivolgere a Matteo Piccardi o ad altri professionisti. L'iscrizione annuale alla palestra di arrampicata costa 15 euro, l'ingresso 6 euro. Mentre parliamo, lo sguardo mi cade su un pettorale e la scritta Paolo. È quello usato da Paolo Bosco alla Yukon Arctic. Alpinismo, trekking, climbing, scialpinismo, ma anche spedizioni e imprese estreme. Lo Sherpa è uno dei pochi riferimenti in Italia per le ultime due voci.
I reel in cui Sherpina interroga Sherpone sulle ultime novità e chiede consigli per l'escursionismo invernale o su come proteggersi dalla pioggia sono ormai un cult. Un mix perfetto tra professionalità e simpatia. Il prossimo progetto è Parole in Quota, un podcast e reel in collaborazione con sgc.team e Lorenzo Mazzola, alla scoperta di alpinisti leggendari attraverso i libri. La prima puntata vede la nostra casa editrice protagonista... E poi? «Mi sono chiesto tante volte chi me l'ha fatto fare, ma il nostro è un lavoro con tanti valori, le persone che ho conosciuto mi hanno arricchito, è la passione che ti frega» dice sorridendo Giovanni. Da quasi 25 anni un rifugio del vero spirito della montagna sopravvive nel cuore della pianura più antropizzata e industrializzata. Una storia di successo e di passione, di sopravvivenza grazie all'adattamento. Come quella degli Sherpa. «Non i portatori, ma la popolazione nomade Sherpa-la, cioè in arrivo da Oriente, dal Tibet, per commerciare» come dice Giovanni. I nomadi hanno mille risorse.
SHERPA MOUNTAIN SHOP
Via 4 novembre 42,
20885 Ronco Briantino (MB)
www.sherpaonline.it
XL Mountain, Quincinetto
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Tutto è iniziato da un cassonetto dei rifiuti
«Danilo Noro - Titolare del negozio di culto XL Mountain di Quincinetto (TO), sta dietro le quinte (anche se è una belva di sciatore e alpinista). É lui che prepara, valuta, monta e analizza al banco tutti gli sci, scarponi e attacchi che trovate in queste pagine. Diciamo che senza di lui la Skialper Buyer’s Guide non sarebbe come la conoscete oggi. Temuto e Rispettato». La scheda di presentazione di Danilo, in apertura della Buyer’s Guide 2025, è identica a quella dell’edizione precedente, salvo un particolare che ci incuriosisce: nel 2024 non c’era scritto “temuto e rispettato”. Questo ci ha fatto pensare che il Signor Noro, con l’avanzare degli anni, stia evolvendo in una sorta di Hattori Hanzo delle pelli di foca, con tutte quelle definizioni che gli girano intorno, come ‘culto’, ‘belva’, ‘rispetto’. Noi, che in redazione ci occupiamo in prevalenza degli Skialper Points e della diffusione della rivista, non abbiamo mai avuto la fortuna di partecipare alle giornate sul ghiacciaio dove si svolgono i micidiali test della Buyer’s Guide, quindi decidiamo di incontrarlo per verificare tutto con una bella intervista. Un martedì di gennaio usciamo dalla consueta rotta autostradale Torino-Aosta, casello di Quincinetto, penultimo paese del Canavese prima di varcare i confini della Vallée, e dopo soli 200 metri siamo davanti alle vetrine di XL Mountain.
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Entriamo e veniamo accompagnati nelle fucine sotterranee da Erika, moglie (e complice, come scopriremo presto) di Danilo. Scendendo le scale, per un attimo fantastichiamo di trovare il Maestro Hanzo intento a forgiare le sue spade. Il nostro eroe è invece concentrato nell’atto sacro di rianimare la soletta di un asse da 95 mm di un cliente, transitato su di una pietraia il giorno prima. La nostra attenzione viene però attratta da un paio di stampelle appoggiate al banco di lavoro. Intuiamo subito cosa possa essere accaduto, perché sappiamo che il giorno precedente, lunedì, é giorno di chiusura, e si sa che Danilo una cosa sola fa quel giorno: scia. «Sì, ieri, mentre scendevo nel bosco, ho lasciato un piede sotto una radice, ma il mio corpo ha proseguito» sono le sue prime parole, e ripensandoci ci rendiamo conto che non poteva esserci presentazione più aderente al personaggio. Da lì in avanti il tempo vola e trascorriamo due ore tra amarcord spassosissimi, dall'improbabile tentativo al Rosa con gli amici (minorenni come lui, mentendo loro sulla propria esperienza) concluso scolandosi diversi grappini al rifugio Mezzalama per superare lo shock di aver staccato una slavina ed esserci rimasto sotto per un po’, fino alla partecipazione alla spedizione delle guide valdostane al Dhaulagiri, nel 2022, lui che guida non è. «Ancora oggi non ho capito perché mi avessero invitato» è il suo commento dissacrante, che strappa risate intorno. Erika lo guarda sorniona e ci viene in mente il proverbio Chi si somiglia si piglia. Ora però, dopo che i due gestori di XL ci hanno rosolati per un’ora, siamo curiosi a puntino, e vogliamo sapere per quale motivo questo piccolo negozio-laboratorio sia diventato il punto di riferimento per gli scialpinisti che bazzicano questa fetta di nord-ovest. Più che altro perché qui non siamo esattamente nella culla dello sci.
É vero che il Monte Rosa è a soli 40 km, ma ci troviamo in un paesino di 970 abitanti/quota 250 mt., a una manciata di chilometri da Ivrea, la città della fu Olivetti, macchine per scrivere e computer, e poco oltre l’ansa del fiume c’è Pont Saint Martin, dove la “ILSSA Viola” produsse ottimo acciaio inox fino al 1986. In questa valle scavata dalla Dora Baltea, diciamo da Saint Vincent in giù, la cultura del lavoro prevalente è stata per decenni quella della sicurezza del posto in fabbrica abbinato alla conduzione dei terreni e delle vigne degli avi, nel tempo libero che rimaneva. Una sorta di evoluzione di quell’agricoltura povera, di pura sussistenza, che aveva costretto tanta gente di qui all’emigrazione in Francia, fino al primo dopoguerra, quando grazie all’industria molti sono potuti tornare e i contadini hanno visto i figli prendere un diploma.
Come nasce dunque questa scelta professionale, in un contesto come questo? Passione tramandata dalla famiglia? Danilo ridacchia, anche se la caviglia lo tormenta: «Nella mia famiglia di origine erano tutti agricoltori e allevatori, io sono l’unico ad aver perso la testa per la montagna. Da piccolo andavo a vedere in TV - quella dei vicini, perchè noi non l’avevamo -, qualsiasi gara sulla neve, fosse anche il salto con gli sci. Un giorno, non avevo ancora 16 anni, ho visto sbucare da un cassonetto un paio di sci, senza attacchi (i Rossignol nella foto di apertura, ndr) e mi sono detto che sarebbe bastato legarmici ben ben forte con una corda per sacchi. Così sono andato lì - ci indica un prato scosceso attraverso la finestra - sì, perché negli anni ’80 qui la neve resisteva per un mese, e mi sono buttato come veniva. Ho preso tante botte ma è nato l’amore, solo che di comprare attrezzatura non se ne parlava. Ho perso mio padre che avevo 5 anni, e con due fratelli e una madre rimasta sola, c’era poco da scherzare, esisteva solo il lavoro in campagna e su in alpeggio, giusto qui sopra in Borgata Scalaro, a 1.400 metri. Tutto il resto era considerata perdita di tempo, per cui mi sono messo a vendere quello che nei boschi e nei torrenti della zona non mancava, cioè funghi e trote (sorvoliamo sui permessi, e poi tanto ormai è tutto prescritto) così alla fine sono riuscito a comprarmi qualcosa di decente. Ma i primi imbraghi per arrampicare erano le cavezze del nostro toro, le corde quelle per legare le fascine di legna, e le scarpe… meglio che non te lo dico. E tu pensa che oggi vado forte con il Bootfitting».
Entra in negozio un amico e il racconto si interrompe, ne approfittiamo per guardarci intorno: la scelta per lo skialper è molto ampia su sci, scarponi, zaini. Per l’estivo idem, scarpe per trekking, hiking e da arrampicata a profusione. Abbigliamento tecnico e meno tecnico di marchi selezionati, come Dynafit e Patagonia. Ci soffermiamo a pensare che ora Danilo si è preso la sua bella rivincita sulle ristrettezze giovanili, riempiendo il negozio di bellissimi oggetti ultra- tecnici, ma ora ha attaccato a parlare con l’amico di quando lavoravano insieme e ci avviciniamo. «Abbiamo imparato a riparare sci e affilare lamine da ragazzi, in un negozio di articoli sportivi a Ivrea, totalmente da autodidatti, ma è stata una bella scuola. Poi vent’anni fa mia moglie Erika ed io ci siamo buttati, e con i pochi risparmi che avevamo abbiamo aperto XL Mountain a qualche km da qui, in quella che possiamo definire una stanza, ma che affacciava sulla strada statale per la Valle d’Aosta. Giorno dopo giorno ci siamo circondati di aficionados, che ci lasciavano gli sci la domenica sera e li riprendevano il weekend successivo. Il mondo della vendita è arrivato dopo e devo ringraziare i rappresentanti delle aziende, anche importanti, che ci diedero la merce a credito, sulla fiducia».
Due anni fa, il ritorno nell’amata Quincinetto, qualche metro quadro in più, tanta disponibilità di prodotto in pronta consegna e soprattutto ancora più comodità per il cliente, con il casello autostradale vista vetrine. «C'è stato un enorme passaparola in questi vent'anni. Assistiamo da anni sciatori liguri e lombardi, e questa mattina abbiamo spedito uno sci ad un ragazzo abruzzese. Non sappiamo come ci abbia trovato, visto che non abbiamo nemmeno il sito e-commerce». ll lavoro prende 6 giorni su 7, quindi appena nevica Erika e Danilo, dopo la chiusura, indossano la pila frontale e salgono in Borgata Scalaro per una gita notturna a Cima Bonze, che sfiora i 2.600 metri ed è una gita niente male. «Scalaro è stata anche la nostra casa per sette anni, estate e inverno, in motoslitta quando necessario. É l’alpeggio della mia famiglia di origine come dicevo, e ci voglio tornare quando non lavorerò più». Controlliamo su Google e in effetti non sembra un luogo troppo stressante: verdissimi prati da foraggio, ruscello che fa la serpentina, una chiesa e una ventina di casette risistemate nel rispetto della tipicità, ovvero tutte con i tetti in losa, la pietra locale usata da secoli come copertura.
É ora di salutarci e notiamo che Danilo in queste due ore di chiacchiere non ha mai smesso di montare attacchi o prendere prenotazioni per il Bootfitting, oltre a dispensare consigli, come a due ski bum che si sono sparati cento chilometri per far sistemare gli attrezzi, oppure, con gran pazienza, ad una madamina disorientata che cercava “un paio di scarpe da ginnastica per passeggiare in paese”. Ce ne andiamo con la voglia di tornare presto per ascoltare altre storie e con la sensazione di aver passato del tempo di qualità con una di quelle rare persone vere. Termine abusato che vuol dire tutto e niente, ma che stavolta ci sta tutto.
XL MOUNTAIN
Via XXV aprile, 2
10010 Quincinetto TO
Rifugio Fauniera, Valle Grana
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Il mio Giardino di Powder
«Il caso ha voluto che io abbia preso in mano la struttura dove da piccolo trascorrevo le settimane della colonia estiva parrocchiale». Dicendo questa cosa Marco Vittori ci fa arrestare la forchetta a metà strada tra piatto e bocca. Siamo con lui al tavolone del Rifugio Fauniera, davanti a noi ci sono degli gnocchi filanti e fumanti, e un calice di Nebbiolo d’Alba d’obbligo. Poi il profumo del Castelmagno è più forte della sorpresa (siamo comunque gente dura e rotta ad ogni agguato) e assaporiamo questa gran prelibatezza della Valle Grana, rimasta in sospeso a mezz'aria. Azzardiamo a rispondere che forse proprio un caso non è, non del tutto quantomeno, di solito non lo è mai per quasi tutti gli accadimenti della vita. Marco conviene che sì, forse è così: «negli anni novanta ero quassù a sbucciarmi le ginocchia con i compagnucci e nel 2019 ci sono tornato per ridare vita al Rifugio, chiuso da un decennio, che metteva tristezza quando ci si passava davanti e solo nella memoria potevo ripescare le sensazioni dei bei vecchi tempi passati».
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Ma ora tutto è tirato a lucido; vetrate luminose, arredamenti in legno chiaro stile scandinavo, compresa la sauna a forma di botte in mezzo al prato, proprio qui davanti. Letti comodi e fotovoltaico, tinozza di acqua tiepida vista fondovalle, tutti i piatti della tradizione cuneese con materia prima local, per primo il Castelmagno DOP, ça va sans dire, fornito dal marghè che ha la malga giusto qui sotto.
Il caffè ce lo prendiamo fuori, per poter alzare gli occhi ad un cielo nerissimo punteggiato di bianco, azzurro e giallo, uno dei più bui d'Europa, che nelle mezze stagioni diventa meta di astrofili che trascorrono la notte sull’erbetta fresca fuori dal Fauniera. Noi non abbiamo il telescopio ma chiediamo di provare la StarBOX, una scatolona di legno a due posti, col tetto spiovente totalmente apribile, dove si può dormire o restare svegli incantati dalla Via Lattea. Noi siamo saliti poco prima di Natale, pellando direttamente da dove si lascia l’auto. Volevamo conoscere questo lettore della nostra rivista, che ha voluto diventare lo Skialper Point più in alto di tutti, a 2.305 metri slm, come recita l'insegna in legno. Chi passa di qui ora può tornare a casa con il nostro magazine, o con uno dei nostri libri sulla montagna, nello zaino. In estate sono cento metri dal parcheggio, in inverno la strada che porta al Colle Fauniera chiude dopo il paese di Castelmagno e per il Fauniera sono 550 metri di dislivello, su tre dita di neve ormai battute e consolidate dai numerosi passaggi di Marco, che sale spesso per i dovuti controlli e ora è qui per i preparativi delle feste: tradizionale apertura dalla vigilia di Natale fino alla Befana. Stasera, poco prima del tramonto, grazie alla brezza che tutto spazza, puntando gli occhi a sud-est si distinguevano cittadine della piana cuneese, paesini della Langa e un orizzonte che arriva fin sopra Genova.
Più oltre, ci figuriamo quella distesa di acqua salata che si può solo intuire. Grappino in mano, silenzio totale, quell’idea ci porta a parlare di come si è modificata la percezione del tempo libero. Decenni fa c’era il dualismo “mare o montagna”, vacanzieri con il portapacchi colmo che chiudevano casa per tre settimane. Oggi sono tante le variabili che decidono le fortune o meno di chi lavora sulle Alpi, e del futuro delle valli. Marco ha fatto la sua scelta ma non disdegna “l’altro mondo”, anzi, allo scioglimento se ne andrà in Puglia per un lungo bikepacking, da buon ciclista che vorrebbe essere più allenato, ma crede nell’importanza di far entrare la montagna nelle vene degli umani già dai primi anni di vita: «Il campeggio che teniamo a giugno, per i bambini delle elementari, serve a non interrompere il filo conduttore della colonia di una volta: un bambino deve scoprire presto queste rocce e questi pascoli, non meno del mare. Oggi tocca a mia figlia Matilde, due anni, scoprire e far riscoprire a me tutto questo, quando mi incanto ammirato dal suo stupore davanti a un fiore, un insetto o ad una mucca».
Ci racconta che qua la notte è un brulicare di vita animale e l’ululato dei lupi aggiunge emozioni alle emozioni, anche se in alta stagione un rifugista lavora dalle 16 alle 20 ore al giorno, e i selvatici diventano quasi dei colleghi, frenetici come lui anche col buio per procacciarsi di che vivere. In estate la cucina non chiude praticamente mai, per far contenta ogni tipo di utenza, ognuno coi propri orari: dai neofiti ai runner cittadini col cronometro che gira sempre, alle famiglie di fondovalle, e poi canadesi, giapponesi, neozelandesi e, manco a dirlo, decine di ciclisti, che da quel dì del 1999 in cui Marco Pantani qui fece l’impresa, sono ormai parte del paesaggio del Colle Fauniera. In inverno altra storia: tranquillità e profondi silenzi, si apre per le festività natalizie e pasquali, oppure nei weekend se si prenota in comitiva, radunando almeno dieci amici. Negli ultimi anni Marco ha notato al proposito una bella novità al femminile, ovvero che sono cresciuti i gruppi di amiche che prenotano per la classica una notte-due giorni, tra ciaspole, brindisi e sauna finlandese, che è attiva anche in inverno.
Anche sul lato scialpinismo ha notato trasformazioni: «Sono diminuiti quelli come ero io, chiamiamoli “stile post Mezzalama” e sono cresciuti due gruppi. Da un lato i superleggeri, che io soprannomino “i figli di Kilian” e dall’altro i freerider coi 4 ganci, senza altra ambizione che tirare le curve più fighe possibili, in totale rilassatezza. Fino ad oggi questa valle non è stata presa d’assalto dagli skialper perché è più forte l’attrazione delle valli adiacenti, ma ci sono due “parchi giochi” di mia vecchia conoscenza che non hanno nulla da invidiare: il primo, il mio giardino di powder, è questo che vedete davanti, tra quattro punte dai nomi che sembrano usciti dalle fiabe che leggo a mia figlia: Punta Parvo, Rocca Parvo, Parvetto e Parvulot. Metto le pelli qui sull’uscio, poi scelgo a occhio, si parla di due-trecento metri circa di dsl, le ripeto due o tre volte. Tutte esposte a nord, si viene giù in ambiente canadese, ululando come i lupacchiotti che la notte girano qui intorno. Sembrano messe lì apposta per la toccata e fuga, infatti quando in settimana salgo con un amico a spalare la neve dal fotovoltaico, ce le facciamo regolarmente. L’altro parco giochi parte dal Colle Fauniera, a 180 metri di dsl dal Rifugio. Da lì ci sono le nord delle vette della Val Maira, cioè Cima Tempesta, La Meja, Sibolet, sempre polverose. Per chi vuole salirle nei feriali, quando siamo chiusi, qui a cento metri c’è il bivacco sempre aperto».
Gli chiediamo quale sia il momento giusto ma tanto sappiamo già la risposta. «Si sa - continua Marco - con il famigerato Climate change le vecchie tempistiche sono saltate, siamo noi a dover fare anche uno switch mentale però, perché l’abitudine resta un po’ quella di pensare che in pieno inverno si scia e basta, mentre ci sono giornate in dicembre in cui qui si sta in T-shirt e si potrebbe fare un giro su una delle mie e-bike a disposizione. E mentre ai primi tiepidi lo skialper meno invasato inizia a pensare che ormai nei weekend si va a far altro, qui, per esempio, tra marzo e aprile 2024 sono caduti 450 cm di neve e si poteva sciare fino a metà maggio». Lo guardiamo mentre racconta e non abbiamo dubbi che sia ancora entusiasta di ciò che vede intorno e di ciò che fa, nonostante questa vita da rifugista, rispetto a prima quando faceva il commerciale in pianura, gli abbia mostrato da subito i suoi bravi lati hard. “I miei spazi privati per buona parte dell’anno vengono a mancare ovviamente, e una dormita tutta filata è solo un bel sogno da rimandare alla chiusura stagionale» ci ricorda Marco «ma non tornerei indietro, qui sono ripagato da questo spettacolo quotidiano e da certe serate con persone che condividono con me un certo modus vivendi, magari davanti a una buona bottiglia, in cui domina ancora l’aspetto sociale e non social». Ma ora basta importunare il gestore, tutti a nanna. La mattina ci svegliamo col primo sole che ci stende un tappeto rosa sulla discesa che ci aspetta, e Marco ci saluta dicendo che ci manderà delle foto da Lyngen, Norvegia. Si perché sarà anche piemontese, ma non bugianen, e il circolo polare lo aspetta per quattro curve ben tirate, il suo appuntamento fisso ogni primavera. L’ultima sua parola per noi è un invito a risalire qui l’estate prossima: «In bici però, se ne avrete il coraggio».
Rifugio Fauniera
Strada del Colle Fauniera, 12020 Castelmagno CN
Narvik, La Dolce Vita
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Molliamo tutto e apriamo un chiringuito. In Norvegia
A parte la citazione da film dei fratelli Vanzina, non è finita con un chiringuito bensì con un bel Café italiano, ma è più o meno così che è andata per Nadia e Riccardo, quando una sera a cena, nella loro casa di pianura a metà strada tra Biella e Ivrea, hanno esclamato una cosa del genere. Tra un' azienda agricola che non dava poi chissà quali soddisfazioni e lo sguardo di Riccardo sempre rivolto ai versanti intorno a lui, alla ricerca di una lingua di neve in qualche canalino, è bastato poco per decidere: un contatto con l'ente turismo di Narvik e due bambini che non si sono per nulla spaventati all'idea di migrare oltre il circolo polare artico.
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Prima è partita Nadia con i due figli e poi, qualche mese dopo, Riccardo. Infatti Nadia mastica la lingua norvegese e incassa i sorrisi dei local, mentre Riccardo si aggrappa all'inglese, ma ancora per poco. Chi ormai è dentro il mood al 100% sono i bambini, uno fa le elementari e l'altro le medie, e scorazzano in bici per questa cittadina che alla fine è un paesone, nonostante sia stata fortemente industrializzata. É qui che si imbarcava il minerale ferroso estratto nella vicina Svezia e destinato ai vari porti d'Europa, tanto che Hitler mise Narvik fra le priorità, la occupò e alla fine gli inglesi la rasero quasi al suolo. Oggi il porto per fortuna smista turisti verso le isole dei dintorni e l'aeroporto verso le Lofoten e le Svalbard. Ma in pullman o in auto non ci vuole molto per fare un giretto in Lapponia, o in Svezia. Insomma, un vero centro nevralgico. Riccardo invece si muove sulle pelli di foca non appena il lavoro molla un pochino. Praticamente le può mettere nel vialetto di casa e partire, anche se il rapido cambiamento climatico ha colpito anche queste latitudini e tocca fare avvicinamento anche qui, ormai.
Tutto è iniziato otto anni fa con una vacanza in Norvegia, poi, al ritorno il tarlo che scavava nella loro mente, per anni: «Certo che sarebbe bello vivere là». Fino al giorno in cui hanno chiesto seriamente ai bambini: «Ma se ci andassimo sul serio?» e loro: «Ok, andiamo». Poco prima di chiudere casa in Italia e consegnare le chiavi al nuovo proprietario, Riccardo era venuto in redazione, a due passi da casa sua, per salutarci, anche se non conosceva le nostra facce, ma era abbonato da anni e ci teneva. L'abbiamo fatto entrare, offerto un caffé, poi man mano che raccontava questa storia abbiamo pensato 'ecco il nostro agente in Norvegia', e quindi con fare mellifluo gli abbiamo messo un braccio intorno alle spalle e gli abbiamo sussurrato nell'orecchio che sarebbe stato bellissimo far sfogliare Skialper ai norvegesi, ai tavolini del suo ny italiensk kafé, sorseggiando cappuccini e sognando La Dolce Vita, quella che nel loro immaginario facciamo tutti noi quaggiù, tra il 45° e il 35° parallelo. Lui non si è tirato indietro e oggi gli tocca vedere le facce di chi sfoglia Skialper senza capire una parola, ma si illumina davanti alle fotografie di valli cuneesi o friulane e gli chiede: "er dette stedet i Italia?". Per ricordare a tutti che hanno fatto un balzo lungo, Nadia e Riccardo hanno dipinto sul bancone le coordinate geografiche di Narvik e della vecchia casa in Italia. D'altronde qui loro sono quelli dei piatti esotici, perchè nel menù si trovano il brasato al Barolo o la Grønnsakssuppe med Parmigiano Reggiano e ovviamente il locale si riempie, anche se rimane un Italian café pur assomigliando a qualcos'altro. Non è raro poi incontrare italiani che fanno trekking leggeri in estate o transitano per raggiungere itinerari skialp, in primavera, e qui Riccardo entra in gioco travestendosi da local esperto, un vecchio lupo da ascoltare con attenzione mentre tira un espresso.
Un giorno di novembre eravamo al telefono con Nadia e Riccardo, parlando di spedizioni postali (noi gli mandiamo Skialper e i libri delle nostre collane sulla montagna, lui si fa spedire dai migliori fornitori il caffè, mozzarelle, pasta di grano duro) e fuori dalla redazione il cielo era grigio, così abbiamo chiesto quante ore di luce avessero ancora a Narvik. Ci hanno risposto molto sinceramente, senza fare gli eroi, che in quei giorni si faceva un po' dura, ma peggio in estate quando la luce anche di notte non ti lascia dormire in pace. E comunque di tornare in Italia non se ne parlava, la cordialità e la rilassatezza della gente di lassù non ha prezzo. E allora ci risentiamo dai, e Ha en god kveld.
LA DOLCE VITA
Kongensgate 49, 8514 Narvik, Norway