Skialper Archive / Millésime 2021
Metti insieme le curve di un'unica, irripetibile stagione e otterrai un sapore diverso. Come quello dello champagne millesimato. Diario di un inverno dolomitico tra impianti chiusi, parcheggi pieni di neve e amici pronti a condividere la gioia di uno sci diverso.
Testo Bruno Compagent Foto Layla Kerley
Non so quanto sia durata la caduta, ma quando il mio corpo ha toccato il suolo, l’impatto è stato così violento che ho aperto gli occhi, l’aria è entrata precipitosamente nei polmoni e ho allargato le braccia. La mano ha toccato qualcosa di caldo e morbido e ho sentito il respiro diventare più regolare. Mici è voluto qualche secondo in più per rendermi conto di dove mi trovavo. Poi, nella mia mente le cose sono tornate al loro posto: la strada, i documenti, i controlli da evitare, la fatica e la tempesta di neve, l‘Italia, fino a questo piccolo Resineux, una specie di incenso naturale di cui amo l’odore e il fumo danzante che emana quando brucia.Subito dopo, il bip dei mezzi spazzaneve ha attirato la mia attenzione. Con una tazza colma di caffè tra le mani ho appiccicato il naso contro il vetro della finestra dell’appartamento che avevamo preso in affitto per una settimana. La neve cadeva dritta, non c’era un soffio di vento, riuscivo a malapena a distinguere la mia auto e i contorni del mondo intorno a noi si facevano morbidi e indefiniti.Non c’era stress, non c’era fretta, non c’erano orari di apertura degli impianti da prendere in considerazione. La tempesta sembrava voler inghiottire il mondo di prima sotto uno spesso sudario bianco.Le strade erano innevate e circolavano solo pochi veicoli. La neve, che cadeva in abbondanza e senza vento, mi faceva salire l’adrenalina e l’entusiasmo, come quando da bambino vagavo per le strade del mio paese durante le nevicate, alla ricerca di dislivelli per tuffarmi nella fredda e inebriante dolcezza dell’inverno
Il parcheggio era deserto e mal ripulito dalla neve, eravamo in mezzo al nulla.La stazione di partenza di una moderna seggiovia, scomparsa sotto la neve, sembrava l’immagine di un altro pianeta.Poche parole, a volte basta solo uno sguardo. Abbiamo seguito una traccia battuta dal gatto delle nevi, che risaliva il pendio di una pista deserta.Avvolti nei cappucci, al ritmo dei respiri, viaggiavamo nei nostri mondi interiori. L’energia necessaria e la lotta logorante con la gravità ci immergevano in una specie di trance morbida e piacevole, dalla quale a volte emergevamo per segnalare all’altro la nostra presenza e per rispondere a una domanda che noi stessi ci stavamo facendo nello stesso momento. La cresta era stracarica e il vento leggero che soffiava aveva accumulato una quantità preoccupante di neve, ma c’era qualcosa di lusinghiero in quelle curve scolpite nel bianco che si snodavano tra i larici e sapevo che, da qualche parte, esisteva un percorso invisibile e sicuro.Lo abbiamo seguito attentamente con tutti i nostri sensi all’erta. Eravamo soli ed era una sensazione che mi calmava e mi riempiva di una gioia profonda.Lontano dalla commedia sociale delle discussioni futili e delle raccomandazioni inutili. Abbiamo continuato a salire insieme, guardandoci le spalle a vicenda. Percepivo la preoccupazione di Layla, che non aveva il coraggio di dire nulla, ma osservava il pendio che stavo tagliando saltellando sugli sci. Eravamo d’accordo sulla linea che avrebbe sciato e il punto dove mi avrebbe aspettato. I rumori della neve sotto gli sci e l’analisi del manto mi facevano pensare che il nostro passaggio avrebbe innescato solo uno strato superficiale di 15 centimetri. Dovevamo saperlo gestire, spostandoci velocemente dopo ogni curva. La neve era estrema-mente leggera e rara per l’Europa, non certo da cento chilogrammi per metro cubo. Ho seguito Layla con gli occhi un po’ preoccupati, ma era abbastanza veloce e ho tirato un sospiro di sollievo quando l’ho vista dare una rapida occhiata dietro le spalle e poi rifugiarsi, come previsto, all’ombra di un grande larice. Nonostante gli attrezzi larghi e la scelta del pendio più ampio, era uno sci diverso, speciale, con la velocità che calava immediatamente alla minima curva. È stato piuttosto un viaggio nel mondo della neve profonda, quasi soffocante. Eravamo soli in quei boschi magici, ovattati dalla grande nevicata. E questo è bastato a renderci felici.Ho ascoltato una canzone che viene dalla notte dei tempi al crepitio del fuoco, mentre finivo una buona bottiglia di Mori Vecio e Layla lavorava al suo computer. La notte è scesa come una coltre di silenzio e di freddo, rafforzandola sensazione di benessere e di isolamento.Non credo che ci fossero più di un centinaio di anime in quella piccola località delle Dolomiti. La cassiera del mini-market ormai ci conosceva e ci salutavamo da lontano quando incontravamo altre persone per strada.Poi ho passato un’altra brutta notte: la neve e le onde hanno questa capacità di portarmi via dal sonno, che diventa leggero a causa dei fiocchi o degli spruzzi, a seconda della stagione e del luogo.Il parcheggio non era stato ripulito da alcuni giorni, ma sono riuscito a parcheggiare l’auto di fronte a un enorme cumulo di neve.
Siamo risaliti seguendo una facile pista da sci e ogni tanto alzavamo la testa per contemplare la roccia e la neve che ci dominavano. Cercavo di ascoltare la montagna, per capire se avesse qualcosa da dirmi: il cielo grigio e l’atmosfera cupa dell’inizio della giornata intaccavano un po’ la mia motivazione. Abbiamo superatola stazione di partenza della funivia, procedendo verso un traverso sotto una parete, dove si era accumulata una grande massa di neve, che suonava cava e aveva una struttura che non mi piaceva. «Sei sicuro?». «Penso che passando più vicino possibile alla parete dovrebbe andare bene, altrimenti chiama Eric o il 112, ok?».Layla ha aspettato che io avessi raggiunto la piccola cresta, dove saremmo stati al sicuro per un po’.Abbiamo tagliato molti pendii di quel tipo, prima di arrivare di nuovo ai piedi di una magnifica falesia di calcare giallo e ocra. La luce stava prendendo il sopravvento, tutto andava bene, ci sentivamo più leggeri sugli ultimi metri appena prima di mettere piede sull’alti-piano, che in estate si trasforma in un deserto di roccia e di vento e ha ispirato a Dino Buzzati Il Deserto dei Tartari.Quel romanzo che parla della condizione umana, delle nostre scelte, delle aspettative e dei miraggi della vita, delle vanità e delle speranze, dovrei proprio rileggerlo.Un uccello bello e fragile mi ha risvegliato da questo stato onirico. La piccola palla di piume si è presentata a chiedere un pezzo di seme, che gli ho lanciato con grande piacere e un po’ di emozione.
il sole risplende di una luce morbida, con i raggi radenti che illuminavano le effimere matasse di fiocchi di neve.Un’atmosfera polare accentuata dalle nuvole di vapore che, in controluce, uscivano dalla bocca di Layla.Siamo Arrivati su una cima immersa in una luce dorata. L’etere era trafitto dalla croce ghiacciata, crivellata di adesivi; non avevamo più niente da calare e per miracolo freddo era rimasto più in basso. Sull’altipiano non c’era un filo d'aria, il panorama era grandioso.Sapevo che quello sarebbe stato un momento indimenticabile del nostro inverno, uno di quelli che ci piace evocare in situazioni che non hanno nulla a che fare con la montagna. Non bisogna essere molto allenati o tecnicamente bravi per arrivare qui:alla portata di tutti, basta semplicemente volerlo. Tutto è purezza e candore, non c’è bisogno di andare alla fine del mondo o di scalare un ottomila per vivere la montagna.Ho preso Layla tra le mie braccia e poi l'ho seguita con gli occhi mentre danzava leggiadra sul tappeto bianco che la montagna aveva steso sotto i suoi sci.Una discesa così rappresenta quanto di più simile alla mia idea di perfezione.L’ho vista pennellare curve, guidata dal suo istinto e dall’abilità di giocare con il pendio e l’ho guardata ancora in una nuvola di cristalli di neve resi furiosi dal passaggio disinvolto e gioioso.
A volte mi manca la vita sociale, quella dei vecchi tempi, quando in inverno ci ritroviamo per parlare, bere e far scorrere l’adrenalina della giornata nelle nostre vene, ore dopo aver riposto gli sci in cantina. I tre bar di fronte alla stazione di Chamonix erano sempre zeppi di persone e spesso ci spostavamo da uno all'altro per ordinare un boccale di birra e guardare gli scandinavi, che si dimena-vano al ritmo di una banda rock che suonava dal vivo in una stanza affollata e surriscaldata. Come potevamo immaginare allora il distanziamento sociale, le mascherine, i tamponi, la perdita di tante libertà e soprattutto del controllo del nostro modo di pensare, che a volte mi fanno sprofondare in un profondo scetticismo sul nostro futuro?
Viviamo felici il presente, domani potrebbe essere troppo tardi...Siamo entrati nell’inverno come fuggitivi che si nascondono nel bosco, lasciandoci alle spalle una buona parte del problema e trasferendoci in un mondo selvaggio e cotonoso, con le sue regole, che abbiamo accettato e rispettato a modo nostro. Sono Ancora stupito di come abbiamo potuto adattarci velocemente di come una situazione eccezionale sia diventata normale. Nella solitudine delle montagne, i segni della presenza umana sono scomparsi sotto la neve. Le infrastrutture e gli edifici sono diventati inutili, abbandonati a se stessi. Questa Sensazione di isolamento ce la siamo goduta, prima timidamente, senza capire che era un’occasione eccezionale. Poi ci siamo buttati giù senza farci più domande, vivendo intensamente ogni discesa e ogni curva. Niente impianti di risalita, ma tanta neve, senza vento. Chi avrebbe potuto immaginare questo scenario solo un anno fa?
CORTINA
Con il passare delle settimane, il clima è diventato più clemente e la neve ha smesso di cadere dal cielo per un po’.Toni e William sono ripartiti e siamo andati in Svizzera per un fine settimana, nel Vallese. Ci siamo incontrati con alcuni amici a Nendaz ed è stato bello sciare nel comprensorio con gente del posto come Romain o Liesbeth, ma non eravamo più abituati alle code, al rumore degli impianti e ai parcheggi pieni di gente, così siamo tornati subito in Italia, a Cortina d'Ampezzo, prima che la regina delle Dolomiti ospita i Mondiali di sci alpino. Non conoscevo Cortina per la semplice ragione che non è il posto per me.Il Lato Chic e mondano mi aveva portato ignorare le montagne che la circondano.In una settimana, grazie all’invito di Massimo di Scarpa, avrei cambiato completamente idea su questo angolo delle Dolomiti.L’ospitalità di Claudio al Dolomiti Lodge, ai piedi delle Tofane, è stata molto calorosa e siamo partiti alla scoperta della zona del Cristallo e di Misurina conTomi Patrick. Abbiamo sciato anche con Aldo, con cui abbiamo condiviso una bella giornata sulle sue discese preferite; ci ha parlato anche di un massiccio isolato e sconosciuto, che visiteremo un’altra volta.Sulla via del ritorno verso le Dolomiti Avevo fatto il pieno di gasolio, ma il carburante non era quello con gli additivi per il freddo intenso e così siamo rimasti bloccati sul ciglio della strada che sale a Misurina. Con la macchina in panne, abbiamo sfruttato l’occasione per andare a sciare insieme a Manuel e Matteo Agreiter, nel loro giardino segreto intorno alla Val Mezdì. Un’altra giornata intensa, iniziata sotto un timido sole e finita nella tempesta e nel vento, tra forcelle e boschi, all’insegna del grande sci, come sempre con Manuel.
PRIMAVERA
Siamo tornati a San Martino per cercare un po’ di pace, ma anche per affrontare alcuni giorni intensi (e stressanti) di riprese con una troupe televisiva francese, che stava realizzando un documentario sulle donne e la montagna; Layla, come fotografa, era una di queste. È stata un'esperienza fisicamente impegnativa, a causa delle condizioni meteo e della neve, ma con l’aiuto di Eric Girardini e Manuel Agreiter siamo riusciti a toglierci un po’ di peso dalle spalle. E poi c’erano i cameraman e i dentisti, con borse che pesavano più di 15 chili. Il Freddo era intenso e i pendii ripidi. In breve, tutto ciò che non si vede quando si guardano le immagini.L'atmosfera Della tempesta è passata in fretta e le temperature si sono alzate di nuovo. Al mattino si sentiva il canto degli uccelli e nel bosco la neve bagnata cadeva dai rami; nel pomeriggio l'acqua scorreva giù dai tetti e le giornate si stavano allungando. Nell’aria c’era il profumo della primavera. È stato allora che Mathieu e Paola, una coppia di amici, sono venuti a trovarci per sciare nella neve fredda e veloce del versanteNord, nel bosco o nei canali all’ombra.Poi le temperature sono di nuovo salite e abbiamo iniziato a cercare la neve primaverile. Per Mathieu è stata l'occasione per fare un po’ di telemark, per medi esibirsi sulla tavola da neve con mia figlia Minna, che ha la fortuna di crescere in questo piccolo paradiso.Poi siamo tornati a Chamonix. L'inverno Non era finito, ma avevamo vissuto quelle ultime settimane tanto intensamente da disegnare una linea netta tra il prima e dopo, quasi la fine di una stagione. Le sciate, gli incontri: tutti momenti che hanno contribuito a tessere una ragnatela, che ci ha imbrigliato e alla quale non ci siamo ancora abituati del tutto. È stata un'esperienza molto forte, fisicamente ed emotivamente. Ci vorrà tempo per realizzare tutto quello che abbiamo vissuto. E, dopo aver fatto la selezione delle foto per questo articolo, è proprio l'aspetto umano dello sci di montagna, prima ancora di quelle tonnellate di neve leggera e polverosa, a rendere speciali i nostri pensieri, come un buon bicchiere di millesimato.
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Lontano dalle tracce
Un autunno pieno di promesse e di sogni. È quello che mi ero detto al volante del mio vecchio van che arrivava dal Nord della Spagna. Non avevo mai visto i Pirenei così bianchi l’8 novembre, una situazione eccezionale di cui non avevamo potuto approfittare perché eravamo senza sci. Poi ricordo il battesimo della stagione, il 7 dicembre, tutto solo sulla prima cabina della funivia della Rosetta, a San Martino di Castrozza, a brindare con qualche discesa nella neve soffice e fredda di questo incredibile spot reso famoso dal King of Dolomites. E invece è arrivato gennaio e non ha mantenuto le promesse: vento, un anticiclone mostruoso su tutta l’Europa come un brutto foruncolo appeso al fianco di una bestia malata. Siamo tornati sulle Dolomiti, che non avevo mai trovato in condizioni così brutte da quando ho iniziato a sciarle regolarmente negli ultimi vent’anni. Nonostante tutto, a Chamonix, grazie alla quota, alla buona conoscenza del terreno e alla varietà offerta dal massiccio del Monte Bianco, siamo riusciti a sciare bene senza fare nulla di eccezionale. Ma non sono un golfista che può divertirsi a ripetere più volte il suo percorso a 18 buche, sono uno sciatore e mi piace scoprire, esplorare, viaggiare sugli sci. Perché è più di un semplice sport, ma un’esperienza e un’immersione completa in un ambiente che amo e di cui ho bisogno per sentirmi bene, lontano dalla frenesia della nostra vita quotidiana. Così, quando François, un amico sciatore di Chamonix, ci ha suggerito di unirci al loro gruppo per un rapido tour sciistico nelle valli occitane, non ci ho pensato due volte e, insieme a Layla, abbiamo caricato il van con tutta la nostra attrezzatura. Per noi è stato un ritorno, perché due anni fa avevamo già sciato da queste parti e ci eravamo promessi di tornarci. Su queste montagne selvagge lontane dai comprensori sciistici ci sono così tante possibilità e sono stranamente poco frequentate pur essendo vicine a Torino e non in Norvegia.
Questi ragazzi sono hard core
Il raid degli amici ha iniziato a fare capolino nella mente di François qualche inverno fa, così un gruppo di persone si riunisce ogni anno per qualche giorno per sciare e scoprire un massiccio. È un’esperienza per uomini, non ci sono ragazze e Layla è l’unica donna a essere accettata perché sa sciare, bere vino e raccontare stronzate o fare battute pesanti come i ragazzi. Ma il raid degli amici non è solo scherzi e vino, si scia molto anche se il biglietto d’ingresso è una magnum di rosso o champagne nello zaino. Qui niente barrette energetiche e bevande vitaminiche, è come una versione hard core della Sentinelle. I protagonisti sono per lo più Guide alpine, cercatori di cristalli, alpinisti, medici del Soccorso alpino. Insomma, il livello atletico e sciistico è alto. Basti pensare che a volte del gruppo ha fatto parte anche Hélias Millerioux…
A Sud di Torino
In fondo alla Valle Varaita il piccolo paese di Chiazale, a 1.700 metri, va in letargo. Spingo la porta dell’agriturismo Lou Saret. Ottavio è lì, legge il giornale, il fuoco è acceso, l’accoglienza è semplice e calorosa. Sono passati due inverni, ma né il luogo né il proprietario sono cambiati. Si parla del piacere di rivedersi, si parla di tutto e di niente, del tempo che passa e che sembra essere impazzito come questo vento noioso che non smette mai di soffiare sui nostri inverni e spazza via i sogni di neve fresca e profonda. Ma non importa, in questo momento è il lato umano che prevale e come nella vita di tutti i giorni è intorno a un tavolo, a condividere una buona cena, che ci sentiamo bene. La raccolta delle patate è stata buona e la stagione estiva è andata bene. La vita in questo ambiente di montagna farà sognare gli spiriti romantici, ma la realtà sociale ed economica è molto diversa e sono sinceramente felice di vedere che le cose si stanno mettendo bene per il mio oste. Una buona notte su un materasso comodo e sotto una spessa trapunta e poi niente di meglio che aspettare i nostri amici impegnati in una serie di coffee tour dopo una notte di abbuffate a Torino, seguite da qualche brutta ora di sonno nelle auto che hanno ritrovato a fatica. François e la sua banda amano andare all’avventura, senza necessariamente aver preparato l’uscita e per questa prima giornata di sci togliamo l’attrezzatura dalle auto, attraversiamo il ponticello sotto l’agriturismo e risaliamo una bella valle verso il Bric Rutund. È un pendio facile e bello e c’è poca gente. Il piccolo strato di neve fresca motiva i più stanchi e presto il Monviso appare in lontananza. Lo guardo con attenzione perché lì avevo in programma di organizzare la Sentinelle l’inverno scorso, ma poi è saltata per la mancanza di neve. Quest’anno le condizioni, senza essere incredibili, mi sembrano migliori.
Il giorno dopo il meteo è piuttosto brutto, tutti hanno dormito bene e si sono ripresi. Abbiamo organizzato i nostri zaini con il materiale, le macchine fotografiche, le magnum di rosso e champagne e tutto ha trovato il suo posto. Fuori il vento soffia e fa volteggiare alcuni fiocchi di neve nelle tortuose strade del villaggio. Le previsioni indicano aperture all’inizio e alla fine del pomeriggio. Parcheggiamo le auto davanti al rifugio Melezè ed eccoci qui, per niente disturbati dal tempo grigio e cupo. Passiamo davanti alla chiesa di Sant’Anna e, nonostante la scarsa visibilità, riusciamo a vedere una montagna rocciosa che domina l’itinerario, Rocca Senghi. La salita al Colle di Bellino (2.800 m) è lunga, ma è un percorso facile, che offre molte possibilità per scoprire le gioie dello sci di montagna. Poco prima del passo il vento aumenta, così scappiamo via e ci rifugiamo in una grotta sotto una piccola falesia, rifugio dei militari durante la Seconda Guerra Mondiale. Il luogo ideale per ripararsi e sciabolare un magnum di champagne, lontano dal mondo. Grazie a una veloce schiarita, la Valle Maira si svela subito in tutta la sua bellezza e ricchezza. Queste montagne delle valli occitane sono un invito allo sci ripido. La disciplina ha avuto un forte impulso a partire dagli anni ‘80 grazie a un gruppo di forti sciatori locali tra cui Nino Viale, Igor Napoli, Bruno Terzolo, i fratelli Bottari: anche il grande maestro del ripido, Stefano De Benedetti, veniva da queste parti almeno una volta all’anno. Ora stiamo scivolando sulla neve soffice, condividendo il piacere di sciare in gruppo. Poi ci fermiamo in mezzo al nulla per un momento di formazione alla ricerca in valanga organizzato da Laurent, una delle Guide. C’è tanta teoria e pratica, ma soprattutto la possibilità di condividere le proprie esperienze. È sorprendente quello che possiamo imparare in questo modo. Raggiungiamo Chiappera con un lungo sentiero in leggera salita sulla sinistra orografica e arriviamo al rifugio Campo Base (vecchio accampamento militare) poco prima del tramonto. È un bel posto per mangiare e la terrazza soleggiata invita a bere qualche birra mentre nella nostra mente riviviamo i momenti più belli della giornata sugli sci. Il giorno dopo partiamo presto e ce la prendiamo con calma, perché il bel tempo dovrebbe durare per tutto il pomeriggio, mentre l’indomani ci sarà il vento e la tempesta di neve. Stiamo serpeggiando tra gli alberi e, quando mi giro per aspettare Layla, vedo il taglio molto estetico della Rocca Provenzale. Ora si risale un bel pendio sulla destra, tra Chiappera e Saretto. E quello che scopriamo mentre saliamo fa da scintilla al nostro entusiasmo: tante linee di discesa che per la seconda volta dovrò sciare nella mia immaginazione, prendendo come punto di riferimento questo piccolo punto rosso del bivacco Danilo Sartore che mi sembra in una posizione ideale per una prossima avventura. Il vento comincia a soffiare e a poco a poco il cielo inizia a coprirsi. Al Passo della Cavalla i ragazzi tirano fuori dagli zaini due ottime bottiglie, oltre ai salumi e ai formaggi per accompagnare la degustazione. Poi più tardi scivoliamo dolcemente verso il bivacco Bonelli che per la seconda volta riesco a individuare nonostante le condizioni meteo terribili. Ma è ancora presto e nel primo pomeriggio decidiamo di risalire i pendii di fronte a noi, tagliati da piccoli canali che sono super facili e piacevoli da sciare con questa neve. Il bivacco Bonelli è piccolo ma accogliente, c’è il gas e una vecchia moka Bialetti che ci permette di bere un buon caffè.
Le notti nei bivacchi sono quello che sono e il tempo passa tra la preparazione del cibo, qualche bicchiere di rosso e di bianco e tante chiacchiere. Prima di andare a dormire ripenso al mio ultimo soggiorno qui, è stato nel marzo del 2018 con Ville Narinen, Layla e Simone Ghiazza: eravamo partiti da Pian della Regina. Un meraviglioso tour sciistico, ma avevamo anche dovuto combattere con il maltempo a partire dalla Valle Maira per arrenderci definitivamente in Valle Stura. Nel mio mezzo sonno ho pensato all’intensità di quegli ultimi due giorni a partire dal bivacco Bonelli, che avevamo trovato solo grazie al GPS. Poi avevamo superato il Colle di Enchiausa ed eravamo scesi nel bel villaggio di Chialvetta, alla Locanda. Ricordo un’atmosfera piovosa, la neve che si appiccicava al suolo e le nebbie che si aggrappavano alle cime, svelando il villaggio di pietra solo all’ultimo momento. Eravamo fradici, affamati e troppo felici di trovare rifugio in una bella casa davanti a un fuoco che bruciava dal mattino. Il giorno dopo il tempo grigio e il vento avevano fatto svanire la nostra motivazione e, dopo aver attraversato il Passo della Gardetta e poi il Colle Oserot, eravamo scesi in Valle Stura. Come previsto, la tempesta è arrivata in piena notte e le raffiche di vento hanno fatto ballare a intervalli regolari il nostro piccolo rifugio. Al mattino presto abbiamo deciso di tornare a valle a sciare i pendii nei dintorni del lago d’Apsoi.
Alla fine abbiamo solo sfiorato queste valli e potuto vedere con i nostri occhi una quantità spaventosa di linee per sciare alla grande. Fa parte del gioco e dobbiamo accettarlo. Ho letto da qualche parte che le cose che si ottengono facilmente non hanno lo stesso sapore di quelle per cui lottiamo e perseveriamo. Il successo avrebbe lo stesso sapore se fosse garantito ogni volta? La Valle Maira e le valli occitane meritano molto di più di una visita veloce. No, non è stato un fallimento, queste due esperienze ci hanno fatto venire voglia di tornare presto e finire di scrivere le pagine della nostra avventura.
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