Il peso è un limite, la sicurezza no dice Manuel Aumann, Operations and R&D Director Bindings, mentre a pochi metri di distanza, nella stessa stanza, uno strano apparecchio emette una luce verde. A intervalli regolari nel macchinario entrano piccoli pezzi metallici che vengono misurati: se le dimensioni sono corrette, la luce è verde, ma se sono sbagliate, diventa rossa. Di quei pezzi, stivati ordinatamente in scaffalature come quelle dei ferramenta, sempre nella stessa stanza, ce ne sono circa mille. Mille parti diverse, mille forme e 25 materiali. Ognuno viene inventariato per controllare la qualità quando arrivano le nuove commesse dai 40 fornitori, dei quali 25 nel raggio di pochi chilometri. Venticinque chilometri da dove? Da Aschheim, 6.879 abitanti, nell’ordinato hinterland di Monaco di Baviera.

Di fatto in questo tranquillo sobborgo, tra villette con giardino e qualche capannone, c’è la capitale dell’attacchino. Perché qui c’è il quartier generale di Dynafit e il reparto ricerca e sviluppo del famoso attacchino inventato da Fritz Barthel e prodotto da sempre dal marchio del leopardo delle nevi. Insieme a Manuel nei tre stanzoni del reparto che si occupa di R&D, qualità e logistica ci sono una ventina di persone. Nel locale della macchina che emette luce verde o rossa ci sono altri macchinari. Qui vengono fatti i controlli di qualità. C’è anche un apparecchio identico a quello utilizzato dal TÜV per i test sui valori di sgancio. Lì dentro passa un prodotto finito ogni cento, anche quelli non certificati. «Mettiamo l’incolumità al primo posto e riteniamo che non si possa scendere sotto un certo peso, se serve per garantire sicurezza, non accettiamo compromessi» dice Manuel mentre il rumore dei macchinari crea una sinfonia di sottofondo. Garantire è un altro dei verbi che sentiamo ripetere spesso. Perché gli attacchi Dynafit sono garantiti a vita. E anche questo si traduce in un severo lavoro di progettazione e di test. Per capirlo facciamo rimpiattino tra la prima stanza e il grande locale accanto a quello dove ci troviamo. Appena entrati in reparto, dietro a una porta a vetri, c’è un piccolo ambiente con diversi macchinari. Uno apre e chiude incessantemente un attacchino. Milioni di step in e out. Ma ci si può sbizzarrire con il test degli impatti laterali e c’è anche un ice box, che non è altro che una cella refrigerata dove vengono eseguiti gli stessi test. I valori di quello di impatto laterale a meno venti, quando tutto è più rigido, hanno una rilevanza maggiore, come quelli sulle vibrazioni di pre-release. E cosa succede quando si salta? L’effetto viene simulato con il test delle forze verticali. In totale sono una dozzina le prove effettuate in questo sancta sanctorum prima di andare sulla neve. Con diversi fori per i pin «perché ci sono cinque produttori e 0,2 millimetri possono fare la differenza» aggiunge Manuel. 

© Federico Ravassard

Il motto di Dynafit è speed up. Nel DNA del marchio c’è la velocità, lo sguardo verso il futuro e l’innovazione, ma lo sviluppo di un attacco è un processo lungo. Mediamente tre-quattro anni dal primo white paper, dalle informazioni raccolte attraverso il dialogo con i consumatori, per capire le esigenze del mercato. Ma ad Aschheim sono abituati a guardare oltre e stanno già ragionando su cosa succederà fra cinque anni. Lavorano a gruppi di cinque persone su ogni singolo progetto. «Siamo orgogliosi di avere progettato il Radical, l’attacco a norma TÜV per i valori di sgancio, riteniamo di essere nella parte alta dell’asticella, per questo per qualche anno abbiamo rilasciato prevalentemente aggiornamenti dei prodotti esistenti, mentre ora stanno per arrivare diversi attacchi nuovi» dice sorridendo Manuel. Dall’idea alla produzione ci vuole del tempo, ma tutto è ottimizzato per essere veloci. Lo capiamo mentre varchiamo la porta dell’ultimo grande locale. 

© Federico Ravassard

Lo schermo del computer sputa disegni 3D del puntale di un attacco. Con il mouse l’operatore ruota l’immagine per cambiare la visuale. Sembra un gioco, invece è il cuore del sistema. La parola magica è software di analisi agli elementi finiti. Permette di calcolare con precisione le forze in gioco e i punti di maggiore stress e di rottura. «In una notte possiamo fare una ventina di simulazioni, che equivalgono anche a un paio di settimane di test con i macchinari». Ai macchinari, quelli dei famosi 12 test, ci si arriva dopo, ma se si è lavorato bene con il software, difficilmente verranno rilevate anomalie. E così poi si va sulla neve. Di solito una ventina di persone, atleti, ma anche semplici appassionati, dei quali fanno parte anche alcuni dei venti addetti che lavorano nel reparto. Perché un’altra delle parole chiave in Dynafit è obsessed, ossessionati, ovvero appassionati. «Non è sempre facile trovare le figure professionali per il reparto R&D di Aschheim, perché non cerchiamo solo ingegneri, ma anche sciatori e amanti del dislivello» conferma Manuel. Il test sulla neve è la parte più delicata del risiko perché nessuna macchina misura le emozioni. Così i prototipi fanno avanti e indietro dalle montagne ad Aschheim. La velocità di reazione sta nella vicinanza alla neve, ma anche nella capacità di modificare, evolvere. Il reparto prototipazione è in grado di produrre singoli pezzi in poche ore e un attacco completo in un paio di giorni. Si lavora non solo sull’affidabilità e la risposta alle sollecitazioni meccaniche, ma anche sull’usabilità dei prodotti. Grazie alle stampanti 3D vengono realizzati fino a 20 tipi diversi di leve prima di arrivare in produzione. Una sfida ancora più ambiziosa ora che le materie prime scarseggiano a causa della pandemia e la mancanza di una minuscola vite può ritardare la produzione di un attacco o la progettazione di un componente. «Siamo sempre alla ricerca di nuovi materiali e fornitori, ma è difficile cambiare perché le parti di un attacco devono resistere alle sollecitazioni meccaniche e a condizioni atmosferiche proibitive». Come dire che il libro degli ingredienti è ben definito. 

E allora la sfida si sposta in un alto campo. «Dobbiamo semplificare, ridurre il numero di attacchi, che può disorientare lo scialpinista, e allo stesso tempo rendere ogni prodotto il più specifico possibile». Ecco la vera sfida per il futuro, per certi versi piccola rispetto a quella titanica di Fritz Barthel che ha immaginato due pin per farci risalire e sciare leggeri. Una sfida che non verrà più affrontata ad Aschheim, ma a Kiefersfelden, al confine tra Germania e Austria. Ancora più vicino alle montagne. Lì sorgerà il nuovo headquarter di Dynafit. Sapendo come è venuto quello di Oberalp, la holding bolzanina che controlla il marchio, c’è da giurare che sarà un bel parco giochi. Magari anche più bello di quello di Bolzano. Ecco, un’altra sfida… +